La cannabis non è una droga di passaggio: lo dice la scienza, lo confermano i dati

16 agosto 2025

La scienza abbatte un vecchio mito: la cannabis non apre la strada alle droghe pesanti, lo dimostrano i dati giapponesi

La teoria della “gateway drug”, secondo cui la cannabis sarebbe la porta d’ingresso verso droghe pesanti, è un residuo ideologico più che un fatto scientifico. Un nuovo studio giapponese mostra chiaramente che la cannabis segue quasi sempre l’alcol e il tabacco, e quasi mai apre la strada ad altre droghe. I dati smontano una falsa narrazione, basata su pregiudizi, che ha contaminato politiche e opinioni per decenni.


Lo studio pubblicato su Neuropsychopharmacology Reports ha analizzato le abitudini di 3.926 persone che avevano fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita, arrivando a una conclusione netta: nella stragrande maggioranza dei casi, la cannabis non rappresenta una tappa intermedia verso droghe più pericolose. Anzi, spesso è preceduta da alcol e tabacco — e raramente è seguita da altre sostanze.


I NUMERI DELLO STUDIO GIAPPONESE

68,2% ha riferito di aver fatto uso di cannabis dopo alcol e nicotina, non prima.

Solo il 7,8% ha consumato cannabis come prima sostanza psicoattiva.

Tra coloro che hanno fatto uso di cannabis come “terza sostanza” (ovvero dopo tabacco e alcol), oltre la metà (54,7%) non ha mai fatto uso di altre droghe.

Il rischio di passare a metanfetamine dopo l’uso di cannabis era solo 0,08, un dato che esclude una correlazione significativa.

Gli autori dello studio affermano chiaramente che non esistono evidenze causali che colleghino l’uso di cannabis all’inizio del consumo di droghe pesanti. La sequenza temporale rilevata riflette piuttosto la disponibilità sociale e legale delle sostanze, e non un meccanismo farmacologico di “attivazione” della dipendenza.


«Le sostanze iniziali come alcol e nicotina sono più fortemente associate al successivo uso di droghe illegali rispetto alla cannabis», si legge nelle conclusioni dell’articolo giapponese.


QUANDO IL PROIBIZIONISMO IGNORA I DATI

Non è la prima volta che la scienza ridimensiona la narrativa della cannabis come sostanza di passaggio.


Uno studio pubblicato nel 2023 su Drug and Alcohol Dependence aveva già evidenziato come l’alcol fosse il vero “gateway” associato a comportamenti a rischio e uso successivo di droghe.


Lo stesso National Institute on Drug Abuse (NIDA), negli Stati Uniti, ha affermato più volte che la teoria del “passaggio” non trova riscontri consistenti nella letteratura scientifica.


Un report del National Institute of Justice (2018), affidabile e indipendente, ha analizzato 23 studi sull’argomento e ha concluso che «non si può affermare alcun legame causale tra cannabis e altre droghe».


Eppure, questa retorica continua a essere usata in dibattiti pubblici, in campagne istituzionali e in decisioni legislative. Una narrazione che semplifica, ma non spiega. E che spesso alimenta stigma e disinformazione, soprattutto tra i più giovani.


LA CANNABIS COME SOSTANZA D’USCITA

Se la cannabis non è una droga di passaggio, può essere — al contrario — una sostanza di riduzione del danno. È quanto suggeriscono numerosi lavori scientifici: pazienti trattati con cannabis terapeutica riportano spesso una diminuzione nell’uso di oppiacei, benzodiazepine, alcol e nicotina.


Uno studio canadese del 2017 (Lucas et al., International Journal of Drug Policy) ha rilevato che oltre il 60% dei pazienti ha ridotto l’assunzione di farmaci oppioidi dopo l’introduzione della cannabis medica. In Israele, studi condotti su popolazioni anziane mostrano riduzioni nell’uso di farmaci sedativi dopo trattamenti regolari con THC e CBD.


Le prove ci sono, e sono solide: la cannabis non è una droga di passaggio, né sul piano statistico, né su quello biologico. Il modello causale su cui si basava questa teoria è stato smontato da dati reali, raccolti da studi accademici pubblicati su riviste peer-reviewed. Continuare a sostenere questa idea non è solo scorretto: è disinformazione. E ostacola l’accesso a strumenti terapeutici validi, la formazione consapevole, e un dibattito onesto sulla salute pubblica.



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